Alla vetrina della Galerie Selected Artists sono appese le locandine delle ultime esposizioni organizzate. Nel cuore di Prenzlauer Berg, uno dei quartieri più alternativi e amati di Berlino, mi trovo a chiacchierare con Uwe Goldenstein, curatore, gallerista e collezionista. L’interno della sua piccola galleria è sommerso di quadri; alle pareti, accostati a terra. Il colpo d’occhio non lascia spazio al dubbio: pittura figurativa, principalmente ad olio.
Fondata nel 2010, la Selected Artists ha riunito un’accurata selezione di artisti che negli ultimi anni sono stati presentati in varie esposizioni e fiere in Germania, ma non solo. Anche Danimarca, Turchia, Svizzera, Repubblica Ceca, Paesi Bassi e Ungheria sono i luoghi che hanno dato visibilità con mostre importanti agli artisti della galleria berlinese.
La grande attenzione di Goldenstein nella scelta delle opere arriva dopo un lungo percorso che lo vede storico dell’arte, giornalista, docente a Brema e ricercatore per la Rockefeller Foundation di New York e l’Imperial War Museum di Londra.
Lo studio e l’osservazione delle dinamiche artistiche lo portano a riunire artisti che, pur mantenendo una forte componente individuale, presentano un’importante fattore comune, base di un concetto che li lega indissolubilmente. È una visione malinconica del mondo che, insieme a una decisiva abilità tecnica, racchiude un approccio che sembra essersi perso o nascosto nel corso degli ultimi tempi.
Si inserisce così Goldenstein in un contesto che prende le distanze da certe logiche legate al mercato proponendo artisti noti ma anche non ancora conosciuti, dove il criterio ha a che fare innanzitutto con un gusto e una visione personale.
Mi spiega Goldenstein:
“Nelle fiere, in certe gallerie, soprattutto nei musei, vengono presentati sempre gli stessi nomi dell’arte contemporanea. Se penso al numero degli artisti della mia generazione che ci sono anche solo in Europa, ci rendiamo conto di quanto sia chiuso il mondo del mercato dell’arte. Ci sono artisti straordinari che stanno al di fuori di certe dinamiche per tutta una serie di fattori e che vivono il nostro tempo”.
Il chiasso e il sole di una giornata primaverile svaniscono quando ci sediamo sul divano della galleria. Mentre parliamo guardo i quadri dei vari artisti che fanno parte della sua selezione e l’atmosfera è quella del raccoglimento. I rumori esterni si affievoliscono sempre più e arriva il tempo della contemplazione. Mi prendo un momento per osservare le opere, dimenticando la frenesia che viene da fuori per reinserirmi in un giusto spazio di riflessione.
Perché è proprio questo spazio di riflessione che Uwe Goldenstein riesce a riportare con le opere dei suoi artisti, connotato fondamentale per la sopravvivenza ma schiacciato dalla velocità del mondo contemporaneo.
Alla parete di fronte a me un quadro di Nicola Samorì, artista affermato a livello internazionale, noto soprattutto per le sue reinterpretazioni dei classici del XVI e XVII secolo mutilate attraverso raschiature, colature, aggiunte di materia in quello sfondo nero che richiama un buio cosmico alludendo a un ritorno all’origine di tutte le cose capace di riscoprire la meraviglia. Volontà di una relazione con un passato da cui poi liberarsi violentemente. Anche Maurizio L’Altrella indaga sulla concezione del creato, in una dimensione tra luce e ombra in quei luoghi che stanno oltre il visibile attraverso un attento e personale uso del colore e della materia.
Si svela una particolare attenzione di Goldenstein per gli artisti italiani, ma non solo. Alla parete opposta un’opera dell’artista tedesca Simone Haack che ritrae spesso personaggi in un particolare momento di transizione, spingendoci ad analizzare un mondo interiore che oscilla tra sogno e realtà, incubo e bellezza, per esplodere in una raffinata compostezza dell’immagine. Tedesco anche Heiner Altmeppen che, con i suoi quadri principalmente ad olio, si inserisce in una visione metafisica dell’arte, scavando nei particolari riconoscibili che con il tempo tendiamo a dimenticare.
E Per Morten Abrahamsen, affermatosi negli ultimi anni come uno dei più importanti fotografi in Danimarca, che spinge sempre oltre i limiti le possibilità del suo mezzo creativo.
Ma ci sono anche i russi Inna Artenova e Alexander Zakharov, autore, quest’ultimo, di magnifiche miniature che in realtà sono tante piccole storie, dal linguaggio comune a quello dell’infanzia, che ci obbligano a soffermarci per osservare ogni minimo particolare di una realtà ironica e spesso amara ma in un qualche modo sicura. Tanti gli ungheresi: Attila Szűcs, Konstantin Déry, Gábor A. Nagy e le fotografie di Adam Magyar che, come nature morte in bianco e nero, offrono una particolare visione cittadina dove le persone ritratte sembrano particelle uguali e confuse, sbalzate ma intrappolate in una dimensione più grande.
E ancora, il moldavo Alexander Tinei, dalla Romania Sergiu Toma, dalla Repubblica Ceca Josef Zlamal e dall’Irlanda Enda O’Donoghue. Adam Bota invece, austriaco, con i suoi olii sembra unire in un unico grande corpo un solo movimento, tante individualità sotto una luce che non si accende mai del tutto, come un modo di porsi silenzioso alla frenesia del proprio tempo per andare verso una malinconia che diventa viva, un ordine nella confusione che ci avvolge.
Ci sono anche artisti che si legano maggiormente al mondo della natura, come il duo Stepanek & Masli, autori di paesaggi dalle insolite distorsioni che rimandano ad atmosfere meditative. Ancora dalla Romania troviamo Radu Belcin, artista dalla affascinante manualità e tecnica che usa sapientemente per spaziare nei suoi potenti quadri ad olio dal magico al reale, non sfuggendo anche da forti critiche sociali. Suo Silent Abyss, quadro utilizzato come immagine per la locandina di Preparing for Darkness Vol. 3, la terza esposizione di una serie di mostre che Uwe Goldenstein organizza con cadenza regolare e che vede dal 2018 la Kühlhaus Berlin, con i suoi sei piani per una superficie complessiva di 6000 mq, lo spazio espositivo privilegiato.
Preparing for Darkness, che prende il nome da un’opera di Attila Szűcs, unisce artisti che nonostante le singole diversità si accomunano negli intenti e che vengono principalmente da zone dell’Europa orientale e dall’Italia, da luoghi nei quali Goldenstein trova artisti più resilienti nei confronti di alcuni meccanismi dell’arte contemporanea; artisti in grado di creare una propria voce personale all’interno di un panorama per certi versi statico.
Preparing for Darkness Vol. 3, che ha avuto luogo durante il Gallery Weekend di Berlino a fine aprile, ha visto la presenza di tanti artisti della Selected Artists. Oltre ad alcuni già citati, anche l’artista tedesco-americano Wendelin Wohlgemuth presente con le sue opere dall’effetto quasi illusionistico dove pittura e fotografia si congiungono fino a non riconoscersi più, arrivando a toccare la percezione dei sogni e del nostro privato rapporto con il caos, e Daniel Behrendt con le sue architetture elementari riprodotte abilmente ad olio; e poi Sergiu Toma, Teodora Axente, Richard Wathen, Alin Bozbiciu.
All’esposizione erano presenti anche artisti delle due gallerie invitate all’esposizione, la Galleria Mazzoli Modena/ Berlin con Alessandro Giannì, Douglas Henderson, Pe Lang, Hugo Lopez-Ayuso, Andreas Lutz, Wainer Vaccari, e la Galerie Römerapotheke di Zurigo con David Hare e Patrick Lo Giudice.
Ad ogni esposizione Goldenstein raccoglie nomi nuovi della scena contemporanea e, insieme ad artisti noti, ognuno con una propria personale direzione, li riunisce sotto la luce di una nuova corrente. Un movimento artistico che ricostruisce un ponte con l’arte passata per poterla analizzare e viverla nel contemporaneo; un movimento dove l’elemento tecnico risulta fondamentale, segno di una particolare attenzione che si distacca dal puro lato commerciale per valorizzare invece la pittura, unita ad una visione malinconica del mondo
Qual è la volontà alla base di tutto questo? Goldenstein risponde:
“E’ quella quindi di stabilire un nuovo movimento artistico che focalizzi lo spirito del tempo sullo spirito della resistenza malinconica. Siamo in un presente che, a causa di una struttura astorica, completamente digitalizzata, non accoglie il tempo per la riflessione e la contemplazione”
Goldenstein riesce così a creare uno spazio per il raccoglimento, dedicato alla calma e all’osservazione, parlando soprattutto alla nuova generazione. E, continua:
“Non sorprende se alcuni artisti offrono spazi complessi, a volte surreali ma capaci di offrire una fuga da una realtà lineare e completamente razionalizzata.”
Ecco che il movimento diventa una sorta di appello al distacco, un rifugio dove raccogliersi per sfuggire a un presente pieno di banalità visive. Un’attitudine malinconia che non è esilio, bensì un prendere le distanze da qualcosa per poterlo meglio osservare e quindi criticare.
Goldenstein prosegue nel chiarimento:
“La malinconia è stato un sentimento importante fino agli anni ’90, ma poi abbiamo assistito al suo totale annullamento. In un mondo che corre troppo veloce non c’è stato più spazio per questo sentimento, che è invece importante perché ti assicura un posto imperturbato, di resistenza”
Un posto buio, ma personale. E in un presente che sembra esistere in una costante luce, dobbiamo ricondurre lo sguardo verso il lato oscuro per ripararci dall’uniformità.
Gli artisti che qui troviamo si rifanno alla tradizione attraverso differenti metodi e intensità, aggiornando la complessità storico-artistica e creando un mondo sotterraneo di pura concentrazione.
Possiamo chiamarlo il “lato notturno della ragione” con cui l’artista, attraverso i codici della storia dell’arte, scava nel mondo malinconico e fantasioso per creare una particolare visione capace di annientare la standardizzazione odierna.
Secifica Goldenstein:
“Immerso in un silenzio misterioso, lo sguardo protetto può perdersi nell’immaginazione fantasiosa e unica dell’artista e, almeno nel breve periodo, arrestare il tempo”.
Così l’esperienza magica e contemplativa dell’opera d’arte può essere finalmente reinserita nell’arte contemporanea. Siamo in un vuoto mediatico dove l’arte può stimolare una comunicazione estetica e significativa. Ed è un ritorno alla pittura l’evento al quale assistiamo contro un incessante scorrere di sperimentazioni tecnologiche.
Come aggiunge Goldenstein:
“E’ ora che si facciano i conti con la forma dipinta, un mezzo per superare il dilemma della crescente saturazione tecnica del nostro mondo”.
Si arriva al confronto con i preraffaelliti inglesi che, opponendosi all’arte accademica, riacquistavano il senso etico passato per esprimersi nella loro modernità; una modernità di cui diffidavano. Da qui la necessità, come sostenne anche John Ruskin, di tornare all’onestà del dipingere. E se ora quindi assistiamo a un ritorno della pittura in virtù della verità non possiamo slegarla da quello stato malinconico che già Aristotele evidenziava come componente della natura umana, andato da tempo perduto. Dovremmo forse ricollegarci al filosofo danese Kierkegaard che, sotto lo pseudonimo Victor Eremita, scrisse in Aut Aut:
“Detta malinconia è l’amante più fedele da me conosciuta: nessuna meraviglia, se ne ricambio l’amore, di conseguenza”.
Infondo la radice di ogni atto creativo affonderebbe nella malinconia e come sostenne il controverso pensatore Martin Heidegger, la filosofia starebbe nella Grundstimmung della malinconia.
Un sentimento al quale dobbiamo ricollegarci, insieme a quel legame con la tradizione che inevitabilmente coinvolge la pittura. Abbiamo assistito ad una produzione sconnessa e frammentaria nell’arte che ha probabilmente impedito di tratteggiare una linea salda e resistente. Ed è infatti proprio dai primi anni ’90 che abbiamo perso una vera e forte idea in grado di definire le tendenze artistiche.
E allora, in un contesto contemporaneo dove alcune sperimentazioni artistiche sembrano possedere una base sterile in grado di esasperare la struttura nel suo complesso, si assiste ad un ritorno alla pittura come possibilità di una nuova e realmente contemporanea codificazione del presente.
Se questa considerazione pare in effetti affermarsi in più di un esempio negli ultimi anni, Goldenstein insiste nel tracciare un movimento nuovo capace di legarsi alla tradizione come dato imprescindibile per una sperimentazione consapevole, non disgiunta dallo spirito di una resilienza melanconica. Tanti i progetti futuri che amplieranno e definiranno sempre più una corrente che, seppur percorsa da varie sfumature, manterrà salda l’ideologia di fondo.
Già a luglio ci sarà l’esposizione True Romance al Kühlhaus che coinvolgerà diversi artisti, per lo più residenti a Berlino, ma in programma per il prossimo anno, nella medesima sede, anche la quarta edizione di Preparing for Darkness e la creazione di una fiera d’arte che coinvolgerà anche diverse gallerie esterne. E poi, ancora più avanti, il trasferimento di Selected Artists al sesto piano del Kühlhaus che darà così visibilità permanente alla collezione di Goldenstein.
Diverse iniziative ed esposizioni quindi che manterranno quel legame con la tradizione per essere realmente contemporanei, assicurando ogni volta quello spazio buio e necessario a decifrare, e quindi oltrepassare, una realtà allineata.
È nel momento dello smarrimento, nel rifugio oscuro, nello spazio malinconico, che riusciamo a rinnovare una pensosa meraviglia.
testo di Lucia Rossi